Le nostre origini

Santa Teresa di Lisieux

Maria Francesca Teresa Martin Guérin nasce ad Alençon (Francia) il 2 gennaio 1873. Suoi genitori sono i Santi Luigi Martin e Zelia Guérin. È l’ultima dei nove figli nati in questa santa famiglia, dei quali ne sopravvivono solo cinque: Maria, Paolina, Leonia, Celina e Teresa. Durante il primo anno Teresa ha dovuto essere allattata da una nutrice perché la mamma aveva un tumore al seno. I suoi primi anni sono felici, però a quattro anni le muore la madre. Quest’evento affligge molto Teresa, a tal punto che cambia la sua vivacità ed espansività in timidezza, silenzio e ipersensibilità nonostante la grande dolcezza di suo padre e delle sorelle.
La famiglia trasloca a Lisieux per essere vicina agli zii, i signori Guérin. Quando sua sorella Paolina entra nel Carmelo (1882), Teresa rimane orfana una seconda volta. L’anno dopo soffre una “strana malattia” che le provoca allucinazioni e tremori. Un giorno, mentre le sorelle pregano per lei, le sembra che la statua della Vergine che ha presso il letto le sorrida e si sente guarita.
La prima Comunione della bambina, l’anno seguente, è “un giorno senza nuvole” nel quale si dona a Gesù. Tratta Dio con spontaneità e amore. Nonostante ciò, influenzata dal moralismo dell’epoca, trascorre un lungo periodo di sofferenza a causa di terribili scrupoli. La sorella Maria cerca di aiutarla con grande amore.
Nel Natale del 1886, un paio di mesi dopo l’entrata di Maria nel Carmelo, Teresa riceve quella che lei chiama la “grazia della sua conversione”, con cui supera la sua estrema sensibilità trovando la felicità nel dimenticarsi di sé per far piacere agli altri.
L’anno seguente, dopo aver ricevuto dal padre il permesso di entrare al Carmelo, nel pellegrinaggio a Roma, durante l’udienza del Papa Leone XIII chiede al Pontefice il permesso di entrare al Carmelo nonostante la sua giovane età.
Il 9 aprile 1888, Teresa entra al Carmelo con il nome di Teresa di Gesù Bambino. A questo nome aggiunge successivamente “e del Volto santo”, quando suo padre soffre periodi di allucinazioni e viene ricoverato in ospedale psichiatrico. Una malattia che Teresa vive con grande fede mentre le altre figlie la vivono con grande dolore.
Al Carmelo, Teresa s’immerge nella lettura della Sacra Scrittura, specialmente dei Vangeli, dove vede le tracce di Gesù. Anche la lettura dell’Antico Testamento, laddove il profeta Isaia parla dell’amore materno di Dio o del Servo di Yahvé, la commuove profondamente. San Giovanni della Croce è il suo maestro spirituale, la cui lettura la spinge ad approfondire il cammino dell’amore.
Dopo la Professione religiosa, è incaricata della formazione delle giovani, anche senza il titolo ufficiale di maestra (incarico ricoperto da madre Gonzaga).
Mantiene una corrispondenza epistolare con due missionari; nelle sue lettere non solo vi è un sostegno fraterno, ma un vero e proprio accompagnamento spirituale. In un’epoca in cui molti cristiani si offrono come “vittime alla Giustizia” per placare l’ira di Dio, Teresa si offre al Suo amore misericordioso, sapendo che la Giustizia divina –come tutti gli attributi di Dio – è sempre impregnata di Misericordia.
Con il passare degli anni va crescendo la sua esperienza dell’amore incondizionato e gratuito di Dio e si sente chiamata a vivere nella gratitudine e nell’abbandono confidente come un bambino nelle braccia della madre. Questo le fa comprendere il valore delle più piccole opere fatte gratuitamente per amore (e non per “acquistare meriti”) e il suo amore quotidiano si affina fin nei minimi dettagli. Donna semplice, non vive eventi straordinari come estasi o miracoli, conosce l’aridità nella preghiera e le incomprensioni, ma niente le toglie la serena allegria e la pace che sempre di più le colmano il cuore.
Nella Pasqua del 1896, Teresa ha un’emottisi, sintomo della tubercolosi. Dopo tre giorni inizia la prova della fede che durerà fino alla morte. La prova, che riguarda la fede nella vita eterna, è descritta in tutta la sua drammaticità ma è da lei affrontata con sempre maggiori atti di fede e di amore. Muore il 30 settembre 1897.
Ci ha lasciato alcuni scritti: le Lettere, varie Poesie, alcune opere teatrali (le “Pie ricreazioni”) in occasione delle feste della comunità, delle Preghiere, delle note compilate dalle sorelle durante la sua malattia e la Storia di un’anima. Quest’ultimo scritto, narrazione della sua storia di salvezza, ha rivoluzionato la spiritualità della Chiesa, al punto da meritarle il conferimento del titolo di Dottore della Chiesa. È anche patrona universale delle missioni. La sua festa è celebrata il 1º ottobre.




Santa Teresa Benedetta della Croce

Avvicinarci alla persona di Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, significa incontrare una ricercatrice appassionata della Verità, aspetto che ha contrassegnato tutta la sua vita. Nasce il 12 ottobre 1891 a Breslavia (attualmente in Polonia) in una famiglia ebrea, dove sua madre, donna forte e di una fede profonda, educa i figli al rispetto e alla libertà responsabile. La fede di Edith si indebolisce perché non trova risposte ai suoi interrogativi e, durante l’adolescenza, la abbandona.
Possiede un’intelligenza e un’intuizione straordinarie; è un’alunna brillante in tutti gli studi. Mossa da un impulso interiore ricerca il senso della vita, studia psicologia, ma senza trovarvi alcuna risposta. Si sente attratta da storia, filosofia e germanistica, che studia all’Università nella città natale.
Nel suo cammino di ricerca legge l’opera “Investigazioni logiche” di Edmund Husserl, padre della fenomenologia e suo ammirato maestro. Questa scienza le apre nuove prospettive sulla conoscenza della realtà. Nell’università di Gottinga si dedica all’approfondimento della fenomenologia insieme ad altri filosofi quali Scheler, Reinach e i coniugi Conrad-Martius, i quali divengono suoi grandi amici.
Quando inizia la prima guerra mondiale si iscrive come volontaria della Croce Rossa, poiché è convinta che la vita non le appartiene più, ma deve consacrarsi al “grande evento”. Negli ospedali da campo militari incontra il mistero del dolore e della morte nella sua drammatica realtà, che la porta a condividere le sofferenze degli uomini.
Continua lo studio e la preparazione della tesi dottorale intitolata “Dell’empatia”, per la cui difesa riceve il massimo dei voti: “Summa cum laude”. Vorrebbe insegnare all’università, ma la cattedra le viene negata perché donna.
Intanto due fatti la commuovono profondamente e saranno determinanti per il passaggio alla fede in Cristo: la serenità della signora Reinach dinanzi alla morte in guerra del marito e la lettura del Libro della vita di santa Teresa di Gesù in casa dell’amica H. Conrad-Martius.
A partire da questi eventi, inizia un cammino di approfondimento della fede cristiana, cammino di abbandono progressivo nelle mani di Colui che le si è rivelato come Verità e sorgente di ogni sapienza. Il suo desiderio di donarsi totalmente al Signore nel Carmelo è preparato da vari anni di insegnamento: è professoressa di tedesco presso le suore domenicane di Spira e poi nell’Istituto di Pedagogia Scientifica di Münster; è nota per le conferenze nelle istituzioni pedagogiche e filosofiche e si dedica anche allo studio e alla traduzione di opere di san Tommaso d’Aquino e del Card. Newman. A causa del clima antisemita è costretta ad abbandonare ogni attività di insegnamento.
Sembra giunto il momento tanto atteso di realizzare la sua vocazione carmelitana. Dopo un ultimo doloroso incontro con la madre, che non ha accettato la sua conversione, Edith entra nel monastero di Colonia il 14 ottobre 1933; vi rimane fino al 31 dicembre 1938, data in cui viene traferita al Carmelo di Echt (Olanda) a causa dell’asfissiante persecuzione contro gli ebrei-cattolici tedeschi. Scrive e vive la “scienza della Croce” fino alle ultime conseguenze; dal campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau entra nella vita il 9 agosto del 1942.
Colei che ha vissuto la ricerca della Verità nell’abbandono confidente in Dio è stata beatificata nel 1987, canonizzata nel 1998 e nominata compatrona d’Europa nel 1999.




San Raffaele Kalinowski

Giuseppe Kalinowski nasce a Wilno (Lituania) il 1° settembre 1835, figlio di Andrzej Kalinowski e Giuseppina Polonska, nobili cattolici polacchi.
Studia all’Accademia militare di san Pietroburgo con buoni risultati. A causa della rivolta del suo paese nei confronti dell’occupazione russa, decide di lasciare l’esercito e, benché sappia che il successo di quella rivolta è impossibile, decide di aiutare i suoi compatrioti; accetta l’incarico di ministro della guerra e così riesce ad evitare un maggiore spargimento di sangue.
Nel marzo 1864 è arrestato ed è condannato alla pena capitale, commutata in dieci anni di lavori forzati in Siberia. Con un Crocifisso e il libro dell’Imitazione di Cristo, è deportato in Siberia; dopo un viaggio durissimo, durato nove mesi, arriva con i sopravvissuti sulle rive del lago Bajkal.
In quelle circostanze particolarmente dure, dimostra una grande carità sopportando le sofferenze e le scomodità, condividendo con gli altri ciò che ha e che riceve dai suoi familiari: “Lo scrivo chiaramente, la miseria qui è grande; trovare denaro in patria è sempre più facile che in Siberia. Mi è inconcepibile essere indifferenti”.
Con il passare degli anni, è sgravato dai lavori forzati e il 2 febbraio 1874 gli concedono la libertà, proibendogli però di ritornare in Lituania. Accetta l’incarico di tutore del sedicenne principe Augusto Czartoryski, che vive la maggior parte del tempo a Parigi (entrato nella Congregazione Salesiana dopo aver incontrato Don Bosco, morirà nel 1893 all’età di trentacinque anni e sarà beatificato nel 2004).
Il 15 luglio 1877 entra nel convento Carmelitano di Graz, con il nome di Raffaele di San Giuseppe. Pronuncia i primi voti il 26 novembre 1878 e parte per l’Ungheria per studiare filosofia e teologia nel convento di Raab. Il 27 novembre 1881 pronuncia i voti solenni ed è inviato in Polonia nel convento di Czerna, dove viene ordinato sacerdote il 15 gennaio 1882; già dopo un anno gli vengono affidate responsabilità di governo.
Riorganizza la presenza dell’Ordine in Polonia e ridà slancio all’Ordine secolare. Pubblica alcune biografie. Nel 1906 assume la direzione del collegio di teologia a Wadowice. È apprezzato da tutti come direttore spirituale e confessore. Si dedica in modo particolare alla cura delle monache Carmelitane Scalze.
Muore il 15 novembre 1907 a Wadowice. È beatificato a Cracovia il 22 giugno 1983 dal Papa Giovanni Paolo II e canonizzato a Roma il 17 novembre 1991. La sua festa è il 19 novembre.
Nella sua vita emergono in modo speciale lo spirito di carità e di riconciliazione e l’impegno profuso nella formazione, specialmente dei giovani.
Insegna ad essere coraggiosi nella perseveranza della fede, ad aver fiducia nelle difficoltà, come pure la persuasione che solo alla luce della riconciliazione proveniente da Dio si può andare incontro all’uomo e perdonare, e che per poter perdonare è necessario riconoscere di essere perdonati.
Ha un carattere aperto, molto cordiale. Dalla sua permanenza in Siberia ritorna convinto della necessità di dedicarsi ai giovani, perché durante la giovinezza l’apprendimento struttura la persona e si fanno le scelte per il futuro. Cerca innanzi tutto una formazione totale dell’essere umano, spinto dall’interesse spirituale e intellettuale. La sua vita è illuminata dal Vangelo e dalla Persona di Gesù.
È invocato come patrono dei siberiani, degli educatori, dei ferrovieri, degli ingegneri e dei giovani.




Santa Teresa de Los Andes

Juanita Fernández Solar nasce il 13 luglio del 1900 a Santiago del Cile. Educata sin dall’infanzia alla fede dai suoi genitori, ha una precoce inclinazione all’orazione e al bene. Nel 1907 entra come alunna esterna nel collegio delle religiose del Sacro Cuore. L’11 settembre 1910 riceve la prima Comunione; un giorno fondamentale, perché d’ora in poi vivrà ogni Comunione come un’amicizia con Gesù sempre più intensa.
Di famiglia agiata, tratta con inusuale affetto i lavoratori della famiglia e si preoccupa della catechesi e delle necessità dei poveri. Suo padre si dimostra poco abile nell’amministrazione delle sue sostanze ne perde la maggior parte, creando non poche tensioni in famiglia. Inoltre, suo fratello Lucio si allontana dalla fede e Michele vive in modo un po’ disordinato. In tutte queste difficoltà familiari, Juanita è l’angelo che veglia su tutti.
A 15 anni dichiara che Cristo l’ha conquistata. Poco dopo viene iscritta come alunna interna del collegio, ma lo accetta con grande fatica: “Ridurrei in cenere il collegio” arriva a dire. Poi decide di essere fedele alla sua vita di collegiale come il modo di affidarsi alla volontà di Dio e cerca di sforzarsi nell’essere un’alunna esemplare. In seguito a una conversazione con una delle sue maestre, inizia il discernimento sulla sua possibile vocazione.
A 17 anni la lettura di santa Teresa di Gesù la spinge a vivere la preghiera come amicizia e dono al prossimo. Conosce anche gli scritti di Teresa di Lisieux e di Elisabetta della Trinità, verso la quale sperimenta una grande sintonia, dato che anche lei desidera essere “casa di Dio” e “lode della sua gloria”. Ha un rapporto epistolare con Madre Angelica, priora delle Carmelitane Scalze di los Andes, alla quale confida la sua ricerca vocazionale.
L’anno seguente lascia il collegio in occasione del matrimonio di sua sorella Lucia, per far pratica nella gestione della casa e presentarsi in società. È una giovane sportiva, amante della natura e allegra. È catechista e insegna ai bambini delle famiglie povere; collabora con le missioni. Non ha dubbi sulla propria vocazione, ma non le è chiaro se dovrà essere religiosa del Sacro Cuore o Carmelitana Scalza. Quando sua madre si rende conto delle sue intenzioni, cerca di provarla in vari modi per dissuaderla, ma rimane sorpresa della dolcezza e dell’equilibrio delle risposte della figlia. L’11 gennaio 1919 conosce la comunità delle Carmelitane Scalze e tutti i dubbi scompaiono, affascinata dalla semplicità, familiarità e spontaneità delle monache.
Appena la famiglia apprende la notizia della sua decisione, i fratelli cercano di dissuaderla, ma i genitori le danno il permesso. Entra il 7 maggio 1919, cambiando il suo nome con quello di Teresa di Gesù. In monastero conosce gli scritti di san Giovanni dalla Croce che l’aiutano nella maturazione della sua preghiera.
Tramite le lettere a familiari e amici esercita un vero apostolato, cercando di incoraggiarli all’amicizia con Dio, all’allegria e alla gratitudine. Le Lettere scritte con grande affetto e comprensione, insieme ai suoi Diari rimangono i testimoni della sua spiritualità.
Durante la Settimana Santa del 1920 si ammala gravemente. Fa la sua professione religiosa sul letto di morte, con gioia ed emozione. Muore il 12 aprile.
La sua vita e la sua spiritualità sono un raggio di Dio in Cile e in tutta l’America Latina. Il suo santuario è meta di pellegrinaggio; ivi molte persone si incontrano di nuovo con Dio e con la fede.




Santa Teresa Margherita Redi

Anna Maria Redi nasce ad Arezzo (Italia) il 15 luglio 1747. È la seconda di tredici figli; salvo il primogenito e i cinque morti in tenera età, tutti gli altri si consacrano a Dio. Ha un’infanzia molto felice, in cui risaltano la pietà, il desiderio di santità e la compassione verso i poveri.
A nove anni è inviata a Firenze nel Collegio di Santa Apollonia delle Benedettine dove, dal 1756 al 1763, riceve un’accurata educazione. A 14 anni è ormai diventata una giovane responsabile e affabile, che si fa voler bene da tutti.
Sente la chiamata alla vita religiosa e progetta di entrare dalle Benedettine. Ma dopo una conversazione fortuita con un’amica che sta entrando al Carmelo, Anna avverte la vocazione carmelitana, che prima non apprezzava. Esce dal collegio per maturare la sua decisione. Al compimento dei 17 anni comunica la propria scelta: tutti rimangono sorpresi e dispiaciuti, in particolare le Benedettine del collegio.
Il 1° settembre 1764 entra per un periodo di prova nel monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze. Poco prima di terminare il postulandato, esce per essere operata al ginocchio, senza sapere se sarà riammessa.
Rientra e veste l’abito carmelitano il 10 marzo 1765, facendo il proposito di vivere pienamente l’orazione, l’obbedienza e il silenzio. Professa il 12 marzo 1766 con il nome di Teresa Margherita del Cuore di Gesù.
Di temperamento focoso impara a controllarsi e a vivere un’ammirabile fedeltà sin dagli inizi. A partire dalla sua entrata al Carmelo, approfondisce la relazione di un reciproco aiuto spirituale con suo padre. Vive pure una grande amicizia con una sorella della comunità, per aiutarsi e impegnarsi ad essere migliori.
La conoscenza del latino l’aiuta a comprendere i testi biblici e liturgici; si diletta nel recitarli costantemente, volendo vivere la Regola del Carmelo che chiede di “meditare giorno e notte la Parola di Dio”. Ha una speciale simpatia per alcuni testi di san Paolo, come: “la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”. A volte sembra stordita, quando, per esempio, è tutta sorpresa per le meraviglie della creazione; le altre monache invece pensano che soffra di malinconia. Solo dopo la morte comprenderanno la santità di questa giovane carmelitana.
Ha sempre in mente Cristo Crocifisso, “capitano dell’amore” che tiene alto lo “stendardo della Croce”. Dagli Esercizi del 1768 fa il proposito di amare sempre, in ogni sua azione, e di mantenersi unita alla volontà di Dio.
È perseverante nei piccoli servizi alle sorelle e non ammette mormorazioni o critiche. Esclama costantemente: “Dio è amore”. Vive in continuo rendimento di grazie: “Chiunque non crede e non osa avvicinarsi a Dio, provi quanto è buono e generoso il nostro amorosissimo Dio”.
Nell’esercizio della carità è squisita. Dai primi giorni si offre per prendersi cura delle consorelle anziane ed inferme perché vi vede Gesù Cristo. Nominata aiutante infermiera è molto richiesta dalle ammalate, anche quelle più difficili, ivi compresa una monaca demente e aggressiva che tutte temono, mentre lei la accudisce con grande pazienza e senza lamentarsi.
Alla fine della vita, patisce grandi aridità nella preghiera. Sperimenta ripugnanze, insensibilità, timori, tentazioni e repulsioni alla pratica delle virtù. Ma intensifica la fede con l’abbandono confidente in Dio, la recita dei salmi, di frasi bibliche o semplicemente con la giaculatoria: “Padre buono”.
Amante della lettura sin da piccola, al termine della sua vita riesce a leggere solo santa Teresa.
Muore di appendicite il 7 marzo 1770.




Santa Maravillas di Gesù

María de las Maravillas Pidal y Chico de Guzmán, OCD (1891-1974).
Nasce a Madrid il 4 novembre 1891 in una famiglia profondamente cattolica, i Marchesi di Pidal. Dopo l’infanzia e la giovinezza vissute secondo il suo stato sociale, abbandona tutto per entrare nel Carmelo dell’Escorial nel 1919.
Nel 1924, per ispirazione divina, fonda il Carmelo di Cerro de los Angeles e il movimento del Cuore di Gesù.
Nel 1933 fonda un Carmelo a Kottayam (India).
Dal 1936 al 1939, a causa dello scatenarsi della persecuzione violenta contro la Chiesa spagnola, le Carmelitane Scalze del Cerro iniziano un rischioso pellegrinaggio che si conclude al Deserto carmelitano di Batuecas (Salamanca), con il recupero del convento all’Ordine.
Nel 1939, la Madre Maravillas ritorna al Cerro e inizia numerose fondazioni secondo lo spirito di santa Teresa di Gesù: nel 1944 Mancera di Abajo (Salamanca), nel 1947 Duruelo, nel 1950 Cabrera (Salamanca), nel 1954 Arenas de san Pedro (Avila), nel 1956 San Calixto (Cordova), nel 1958 Aravaca (Madrid), nel 1961 La Aldehuela (Madrid) dove vive fino alla morte. Da qui questa figlia di santa Teresa, audace e moderna, sempre attenta alle necessità del prossimo, realizza la sua grande opera sociale: l’edificazione di una chiesa, di un quartiere e di un collegio per i poveri.
Nel 1964, fonda il monastero di Montemar (Malaga). Inoltre, nello stesso anno l’Arcivescovato di Madrid-Alcalà le chiede di ripristinare il Carmelo dell’Escorial, dove aveva vissuto i suoi primi anni nell’Ordine e nel 1966, su richiesta del Vescovo di Avila, salva dall’estinzione il monastero dell’Incarnazione dove Teresa aveva trascorso 30 anni.
L’undici dicembre 1974 muore nel monastero di La Aldehuela, lasciando dietro di sé un raggio di luce e di amore, dopo aver posto al servizio di Dio e dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi tutti i suoi doni, la sua vocazione e tutta la sua vita. Nella chiesa del monastero il suo sepolcro è visitato ogni anno da migliaia di pellegrini. 
Nel 1974 P. Finiano, Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, invia al Papa Paolo VI una commovente lettera con un eloquente ritratto della Madre, chiedendo una rapida introduzione del processo di beatificazione. Il Carmelo se ne fa carico e la Madre Maravillas è beatificata nel 1998 a Roma e canonizzata a Madrid nel 2003 da Giovanni Paolo II, che dice di lei: “Visse animata da una fede eroica, plasmata nella risposta a una vocazione austera, ponendo Dio al centro della sua esistenza. Superate le tristi circostanze della Guerra Civile spagnola, realizzò nuove fondazioni dell’Ordine del Carmelo permeate dallo spirito caratteristico della riforma teresiana”.




Santa Elisabetta della Trinità

Elisabetta Catez nasce il 18 luglio del 1880 vicino a Bourges (Francia). Tre anni dopo nasce la sorella Margherita (Guite). Nel 1887 muoiono sia il nonno che il padre e le due bambine rimangono sotto le cure della madre, donna di grande rettitudine ed energica.
Anche la piccola Elisabetta ha un carattere molto determinato, le sue arrabbiature infantili sono terribili. Però sin dalla giovane età cerca di vincere il suo temperamento. Alla morte del padre traslocano vicino alle Carmelitane Scalze di Dijon. Il suono delle campane del monastero e l’orto delle monache esercitano un grande fascino su Elisabetta.
Il giorno della sua prima Comunione, il 19 aprile 1891, è fondamentale per lei: sente che Gesù ha riempito la sua vita. Nel pomeriggio visita per la prima volta il Carmelo e la priora le spiega il significato del suo nome. In ebraico, Elisabetta significa “la casa di Dio”. La piccola è profondamente colpita da queste parole. Da quel momento in poi si propone di essere la dimora di Dio in tutta la vita, pregando di più, controllando il suo temperamento e dimenticando se stessa.
Nonostante la sua viva intelligenza, la giovane Elisabetta riceve una scarsa cultura generale, ma dimostra di possedere delle notevoli qualità musicali; infatti vince un Primo premio di pianoforte a soli 13 anni. Ha un’anima sensibile alla musica e alle bellezze della natura che la riportano sempre a Dio e nelle quali vede riflessa l’armonia del Creatore.
Elisabetta desidera essere Carmelitana, ma sua madre glielo proibisce fino ai 21 anni. Leggendo santa Teresa si scopre in grande sintonia con lei. Comprende che la contemplazione è lasciare che Dio operi in noi, che la mortificazione dev’essere interiore e che l’amicizia significa anteporre ai propri interessi quelli dell’altra persona. L’aiuta anche la lettura della Storia di un anima, dove la giovane Teresa di Lisieux, morta da poco, la incoraggia nel cammino della fiducia in Dio.
Il 2 agosto 1901, la postulante entra nel Carmelo di Dijon con il nome di Elisabetta della Trinità. La Madre Germana è la priora, maestra ed infine sua ammiratrice e discepola. Elisabetta trascorre una vita completamente ordinaria, una vita di fede, senza rivelazioni né estasi, tuttavia l’attenzione di tutta la comunità è subito attratta dalla fedeltà e dal donarsi della giovane religiosa.
Da parte sua, Elisabetta, s’immerge nella lettura e nell’approfondimento della Scrittura – principalmente di san Paolo – e di san Giovanni della Croce, grazie al quale trova il cammino interiore e matura nella fede.
Leggendo san Paolo scopre un’intensa chiamata ad essere “Laudem gloriae”, “Lode della Gloria di Dio” Trinità in ogni momento della sua vita, vivendo in costante rendimento di grazie. Alla fine della vita, si identifica a tal punto da firmare alcune lettere con il nome “Laudem Gloriae”.
Nella Quaresima del 1905, Elisabetta entra nell’infermeria del monastero e, dopo una penosa e lunga malattia, muore il 9 novembre 1906. Le sue ultime parole sono: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”.
La sua biografia e i suoi scritti hanno avuto una sorprendente diffusione; sono: i Diari, le Lettere, le Poesie (riflesso della sua anima, ma di poca qualità letteraria), alcune Preghiere, tra le quali è celebre l’“Elevazione alla Santissima Trinità”, Il cielo nella fede, (dove incoraggia sua sorella Guite, sposa e madre, a vivere il cielo sulla terra adorando Dio in fede e amore), La grandezza della nostra vocazione, l’Ultimo ritiro, e Lasciati amare (dedicato alla priora).




Beato Francisco Palau

Scrittore di opere a carattere devozionale e apologetico, in primo luogo e soprattutto è un ricercatore, che “segue ciò che è buono e bello”.
Missionario apostolico, fondatore delle due congregazioni che conosciamo oggi: le Carmelitane Missionarie Teresiane e le Carmelitane Missionarie.
Questo è il P. Palau, un Carmelitano Scalzo che grazie all’espulsione dal convento scopre la sua vocazione di eremita nascosto nelle grotte della montagna, ma sa anche stare accanto alla gente come predicatore, riformatore dei costumi, catechista, animatore dei gruppi e delle comunità che si formano intorno alla sua persona.
Non si dedica solo all’insegnamento della dottrina cristiana alla gente, ma si prende cura anche dei poveri, degli infermi; e tra questi, anche dei pazzi e dei malati di mente, che venivano ritenuti quasi abbandonati dalla mano di Dio. Di fatto egli, che in gioventù aveva sperimentato che la solitudine e la contemplazione (la vocazione di Maria) erano state l’ambito naturale per lo sviluppo della sua vocazione, raccomanda alla sue figlie la vocazione di Marta.
Francesco Palau, l’uomo solitario per vocazione, si sente un apostolo, un evangelizzatore infaticabile anche verso coloro che cercano di mettere da parte Dio e farlo tacere. Per lui l’evangelizzazione riguarda ogni attività: la predicazione, l’insegnamento, la catechesi, la beneficenza, il giornalismo esercitato come propaganda e denuncia, il tutto per aiutare a rendere cristiano l’ambiente sempre più lontano dai principi religiosi, che per Francisco costituiscono le fondamenta di ogni edificio sociale.
L’amore per la Chiesa è la sua grande passione; essa si rivela ai suoi occhi come una realtà ben più ampia della struttura visibile, come la intendeva al principio: essa è una comunione di amore tra Dio e il prossimo. Quando scopre questo mistero, nel 1860, trova il senso definitivo della sua vita: vivere al servizio della Chiesa.
La vocazione: scopre che il suo posto è il chiostro, e quando per varie circostanze è espulso dall’Ordine, riafferma la sua vocazione di religioso e carmelitano, verso la quale rimane fedele nonostante le pressioni, le proibizioni, il carcere, l’esilio, poiché in lui la “fiamma dell’amore” è più forte di tutte le difficoltà che gli si presentano. “Decide di vivere solitario nel deserto, sui monti”.
È un uomo insoddisfatto dello spirito del suo secolo, nostalgico del mondo distrutto dai processi rivoluzionari, e sempre in attesa del sorgere di una nuova società dove poter vedere realizzate le sue speranze.
Il Beato Francesco Palau, Carmelitano spagnolo nato ad Aytona nel 1810 e morto a Tarragona nel 1871, è un personaggio tipico del XIX secolo; P. Alejo della Vergine del Carmelo ha scritto che tra le grandi figure dell’epoca – in particolare in Catalogna – e tra gli apostoli della Parola cristiana, accanto al venerabile Claret, a P. Colle e al P. Planas, bisognerebbe annoverare il P. Palau, “il più perseguitato, calunniato e oggi meno conosciuto di tutti gli altri”.

 

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